Salvami

24/05/2012 - Hélyette&Alex - Pub

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    Mi piace uscire la sera, e non lo nego. Però ci sono alcune sere in cui non mi va proprio di uscire, per vari motivi fra l'altro; stasera, per esempio, sentivo che avrei dovuto rimanere a casa mia, perché sento che non è la serata giusta, né per il mio fisico né, tantomeno, per la mia psiche. Non mi piaceva rovinare le serate ai miei amici, ma in quel momento non potevo pensare altro, anche perché cercavo di spostare il mio pensiero su qualcosa che non fosse il dolore che mi provocavano i tacchi mentre guidavo: già, quella sera mi ero offerta di portare io la macchina, dato che non avevo proprio intenzione di bere; va bene, dato che stavamo andando in un pub non era proprio la miglior scelta del mondo, però la macchina doveva essere portata a turno, e quella volta era toccata a me, e non mi ero assolutamente opposta. Parcheggiai la macchina poco lontano dal pub, ansiosa di potermi mettere in piedi coi tacchi, perché guidarci era davvero impossibile: in realtà non si poteva neanche, ma non è che me ne curassi più di tanto ad essere sincera; recuperai la clutch dal cruscotto ed aspettai che i quattro amici in macchina con me scendessero prima di incamminarci tutti insieme verso il pub; mi piaceva andarci insieme ai miei amici, più che andare in discoteca ad essere onesta, ed i miei amici concordavano con me. Ci incontrammo con gli altri amici (fra cui c'era anche mia sorella) all'entrata del pub prima di entrare e dirigerci verso il primo tavolo libero che ci capitò e che sarebbe stato in grado di ospitarci tutti; il cameriere arrivò e prese le ordinazioni: io mi limitai ad una bevanda analcolica alla frutta.

    ***


    Dopo circa un'ora che eravamo al pub, una visione mi fece letteralmente andare fuori di testa: Philippe era lì, di fronte a me, in compagnia di una bionda ossigenata con le tette al vento ed una minigonna che sarebbe stato un semplice eufemismo definire cortissima. Vederli insieme mi mandò letteralmente fuori di testa, tanto che per un momento pensai anche di andare da lui e baciarlo come se fosse il mio ragazzo, e non il ragazzo di quella sgualdrina. Non riuscivo accettare, dopo un intero anno, che la storia tra me e Philippe fosse finita, definitivamente finita senza la benché minima possibilità di appello, niente di niente; nonostante tutto quello che mi aveva fatto, mi risultava impossibile accettare di non poter continuare la mia vita insieme a lui. Ero una stupida, questo sì, ma ne ero follemente innamorata, e non sapevo come sarei potuta uscirne fuori; forse, semplicemente non potevo.
    Capendo di non poter fare niente per migliorare la situazione, decisi di buttarmi sull'unica cosa che avesse senso in un pub: l'alcol, e lo feci senza pensarci due volte. Mi allontanai dai miei amici con una scusa e mi piazzai al bancone scaraventando letteralmente la clutch sul piano ed ordinando un giro di rum e pera; non avrei offerto da bere a nessuno, mi sembrava abbastanza per il momento scolarmi un intero giro di rum e pera. Finii tutto quello che il barista mi aveva dato in poco meno di tre minuti e poi ordinai un cocktail tra i più forti che notai nel menù appeso sopra al bancone. Finii anche quello, bevendolo come se fosse acqua; poi ordinai una birra ed andai avanti così per circa mezz'ora, finché mia sorella non venne a prendermi notando i miei discorsi col barista «Voi uomini siete tutti dei gran bastardi.» Continuavo a dirgli, bevendo l'ennesima birra «Hélyette, vieni via ti prego!» Mi diceva mia sorella cercando di farmi scendere dalla sedia posta davanti al bancone «Audrey, vattene.» Continuavo a ripeterla arrabbiata, prima di scoppiare a ridere e poggiare la testa sul bancone; improvvisamente mia sorella mi voltà la faccia verso la sua e mi mollò un sonoro ceffone «Adesso tu alzi il culo da questa sedia e vieni con me.» Mi disse in un sussurro, evidentemente infuriata; per tutta risposta mi alzai e la fronteggiai, guardandola dall'alto, dati i tacchi «Audrey, ho quasi ventun'anni.» Gli ricordai lapidaria «So badare a me stessa.» Aggiunsi scoppiando a ridere e prendendo la bottiglia di birra ancora intatta, prima di lasciare il pub barcollando; mi sedetti sul marciapiede completamente sudata, coi pantaloncini fradici di alcol e la camicetta semi sbottonata, poi scoppiai a piangere e a ridere nello stesso momento.

    «Almeno tu, nell'universo.»
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    Edited by ;happiness - 24/9/2013, 13:50
     
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    « Cristo, moralista di merda! Ti odio! » strilla Cecile, afferrando il bicchiere pieno di Cola da discount, lanciandolo nella mia direzione. Lo schivo, con un movimento quasi atletico, mentre mia madre nasconde il viso tra le mani pregandoci di non litigare. Che cos'ho fatto? Ho banalmente osato affermare che non abbiamo una casa abbastanza grande perché possa permettersi di portare un fusto diverso a sera, anzi, che non ha nemmeno una camera in cui potercisi chiudere, cosa decisamente fastidiosa, soprattutto se hai bisogno del bagno nel momento sbagliato. Insomma, non vedo perché i bellimbusti che si porta a casa non possano ospitare lei, visto che hanno tutti... beh, delle case, per esempio. Ma sono un moralista, mi sembra giusto, affermare una cosa del genere è da decerebrati, e qui cito mia sorella, e io non posso certo permettermi di farle la paternale visto che « uno stronzo di padre l'ho già avuto, voi uomini siete tutti uguali!! ». Insomma, una tranquilla serata casalinga! Ma è inutile cercare di farsi capire, di ragioni non ne vuole sentire, e come biasimarla, ha sempre ragione, lei. Quindi niente da fare, probabilmente è arrabbiata di suo, forse l'ometto di turno l'ha scaricata, o non l'ha portata fuori, o un'amica l'ha trattata male, chissà, ha sempre dei problemi GIGANTI Cecile. Tanto giganti che ha queste reazioni da prima donna, una vera drama queen, con tanto di stoviglie volanti e madri disperate. Ora, non fraintendetemi, voglio a Cecile un bene dell'anima, ma apprezzerei se fosse un po' più umile e si sentisse meno una dea e più una ragazza, in particolare mia sorella. Ma tanto vale lasciarla sbollire, per ora. Ha bisogno di spazio, e non è che in casa nostra ce ne sia molto. Anzi, non ce n'è proprio.
    Ecco perché sono uscito a fare due passi. Due, insomma, dico due, ma sarà un'ora e mezza che cammino per Parigi. Nel mio quartiere non c'è una gran visuale, ma appena uno si avvicina un po' al centro è tutta un'altra storia. Tanto per cominciare ci sono delle persone, e già la cosa si fa interessante. Non so se sapete della mia passione più grande, quella di osservare le persone. Mi piace vedere il bello di tutti, dai ragazzi più giovani, ai cinquantenni con la ventiquattrore, gli spazzini, i vecchietti, le ragazze... Beh, le ragazze sono tutto un altro tipo di visuale, ma a quest'ora della sera è raro vederne, sono tutte a casa, a cena fuori, in discoteca, ma sicuramente non per strada.
    Raro, ma non impossibile a quanto pare, visto che ce n'è una, apparentemente impazzita, seduta su quel marciapiede...


    « aspetterò domani per avere nostalgia »
     
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    Non ero in pieno possesso delle mie facoltà mentali in quel momento, tuttavia riuscivo a capire che ero ridicola e mi chiedevo come avessi potuto ridurmi in quel modo. Io non ero quella seduta sul marciapiede, non er davvero così, non risolvevo mai i miei problemi con l'alcol e, soprattutto, non mi sarei mai disperata per una persona fino a trovarmi in quello stato. La verità era che Philippe mi aveva distrutto l'anima, e anche la psiche, poco ma sicuro; era riusciti a demolirmi completamente, a farmi perdere ogni volontà di difesa che fosse mai esistita nel mio corpo. Mi aveva ridotto in un stato di depressione profonda, di tristezza e di debolezza che non riuscivo a superare, non se continuavo a pensarci o a vederlo; non avrei mai detto una cosa del genere riferendomi a qualcuno, ma avrei preferito che fosse morto, almeno avrei sofferto meno. Ero convinta che non avrei mai smesso di soffrire per causa sua, semplicemente perché lui non avrebbe mai abbandonato la mia mente, sarebbe rimasto lì sempre, come una macchia ostinata che, per quanto tu ti sforzi, non riuscirai mai ad eliminare; Philippe era diventato questo, una macchia che cercavo di eliminare in ogni modo, ma che riusciva a resistere a qualsiasi detergente io riuscissi a scovare. Non bastava niente per scacciarlo dalla mia mente: non valeva studiare senza smettere neanche un secondo, non valeva impegnarsi più del solito alle lezioni di danza, non serviva neanche avere un saggio ed un esame nella stessa settimana, Philippe era sempre lì presente ed io non riuscivo a non dargli ascolto. Mia sorella continuava a ripetermi che dovevo sforzarmi, ed io lo facevo: pur di non pensarci andavo anche nel negozio di Audrey per aiutarla, anche se non ne avevo voglia ed ero già molto stanca per conto mio. Immagino sia inutile sottolineare che neanche quella strategia funzionava. Avevo il cervello letteralmente in pappa, non riuscivo più neanche a ragionare quando Philippe si presentava nei miei pensieri: piangevo mentre studiavo, non riuscivo neanche a respirare, mi tiravo i capelli per la disperazione e non riuscivo a calmarmi; smettevo soltanto quando sentivo che qualcuno rientrava in casa, fingendo di dormire per non far notare a nessuno gli occhi rossi e gonfi. Detestavo quando le persone mi dicevano cosa dovevo fare, sapevo da sola che avrei dovuto dimenticarlo, ma non ci riuscivo e non potevo farci niente.
    In quel momento soprattutto volevo stare da solo, ed immagino che Audrey l'avesse detto ai nostri amici: mi era dispiaciuto averla trattata in quel modo, e l'indomani gliel'avrei fatto presente, sempre se mi fossi ricordata; la verità era che in realtà non sapevo neanche io se volessi stare da sola o meno, forse avrei voluto qualcuno che mi consolasse dicendomi che andava tutto bene e mi riaccompagnasse a casa, perché di certo da sola non potevo tornarci; ma allo stesso tempo mi andava bene stare da sola, perché odiavo che le persone mi vedessero piangere. Iniziai a bere l'ultima bottiglia di birra con gli occhi che, per colpa del trucco ormai sciolto, mi bruciavano da morire; ad intervalli più o meno regolari piangevo prima di scoppiare a ridere, mi asciugavo le lacrime e poi scuotevo la testa come a dirmi che ero davvero, ma davvero una completa idiota. Sapevo che sarei dovuta rimanere a casa, un gelato avrebbe fatto molto meno male alla mia salute rispetto a questa orrenda sceneggiata; fortuna che a quest'ora non gira nessuno per la strada, già mi immagino i commenti sarcastici delle persone che mi potrebbero vedere in queste condizioni: riderebbero di me e mi darebbero della disperata, ed avrebbero perfettamente ragione.
    Se fino a quel momento non c'era stato nessun rumore a parte quello delle macchine, all'improvviso sentii dei passi che si avvicinavano: non volevo sapere neanche chi fosse, non volevo che mi vedesse in faccia né volevo che deridesse in alcun modo; tuttavia ero troppo curiosa di vedere chi fosse e quindi mi decisi ad alzare lo sguardo, anche se di poco per non mostrare il viso distrutto. Sbriciando tra i capelli notai che era un ragazzo, ma in quel momento non ero abbastanza cosciente da poter dire se fosse bello o meno, e non avevo neanche voglia di saperlo. Lo guardai per un po' mentre camminvaa, ma non ero in grado di richiamarlo in alcun modo: non avevo idea di cosa avrei dovuto dirgli e non sapevo neanche se sarebbe stata una buona idea o meno. Rinuncia, finché le parole non iniziarono ad uscire da sole dalla mia bocca «Sei la prima persona che passa da quando sono qui.» Gli dico, biascicando per via dell'alcol «E sei pure un uomo.» Considerai: anche se ero ubriaca fradicia me ne rendevo conto «Quindi siediti qui accanto a me.» Gli dissi poi sbattendo la mano sul marciapiede fino a farmi male «E spiegami come riuscite a farci stare così male, vuoi uomini.» Aggiunsi poi, sistemandomi i capelli alla bell'è meglio, cercando di legarli col laccino che portavo sempre al polso senza molto successo e cercando di pulirmi il trucco meglio che potevo: temevo di non aver avuto un bell'aspetto comunque, ma almeno c'avevo provato.

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    Se ne stava lì, seduta sul marciapiede, completamente sola. Aveva i capelli completamente impiastricciati di trucco e birra, incollati alla faccia, appiccicati alle labbra. Rideva, piangeva, rideva di nuovo, e tracannava birra. Sembrava una creatura indifesa e impazzita, completamente fuori controllo. Non appena la vidi iniziai a rallentare, fino a fermarmi a pochi passi da lei. La osservavo, ridere e piangere, incurante della camicetta slacciata, dello sporco della strada, o del fatto che continuasse a rovesciarsi birra addosso. La osservavo, e non potevo fare a meno di sentire con tutte le mie forze la mia vocina interiore che mi invitava caldamente ad andarle a chiedere se proprio andasse tutto bene.
    Ho sempre avuto un istinto da crocerossino, soprattutto con le ragazze. Sarà che spesso mi ricordano Cecile, e se mai la trovassi in una situazione del genere starei male per mesi, ma sarà anche che per me sono sempre state creature fatate e un po' mitiche, creature fragili e a rischio, meraviglie da proteggere, ma soprattutto di cui prendersi cura. Insomma, so che questo discorso è difficile da comprendere perché passando senza filtri è facile prenderlo per un discorso maschilista e machista. Però è così, e mi dispiace che questo possa essere ritenuto offensivo.
    In ogni caso, stavo osservando la ragazza. Era difficile capire se fosse disperata solo perché era ubriaca fradicia, o se quello stato stesse semplicemente lasciando uscire tutto il marcio che aveva dentro. La osservavo, chiedendomi cosa sarebbe stato meglio fare, se mai avesse preso un mio interessamento come una qualche sorta di abuso nei suoi confronti, se si fosse messa a urlare, o se, comunque, lo avrebbe apprezzato. Ma non dovetti decidere, perché ad un certo punto fu proprio lei, nel mezzo di una risata, a puntare i suoi occhi azzurri su di me, tra le ciocche di capelli e il trucco sbavato. Occhi intensi, indagatori, forse un po' spaesati, ma che puntavano a individuare in fretta i particolari importanti: ”sei pure un uomo” mi disse, quasi accusandomi. Restai un po' interdetto dalla sua ferrea logica, aspettandomi da un momento all'altro uno “sparisci dalla mia vista”, ma la ragazza continuò in modo inaspettato. “siediti qui accanto a me”, disse, tirando uno schiaffo al marciapiede. ”spiegami come riuscite a farci stare così male”. Non è una domanda, credo. Sembra più un ordine, o meglio, una di quelle affermazioni dalle quali non c'è verso di scappare. Come una fidanzata che ti annuncia “dobbiamo parlare”, o una persona che ti dice “dobbiamo fare un discorso”. Una di quelle affermazioni dalle quali saresti un codardo a scappare, senza contare che chiunque avrebbe la legittimità di darti dello stronzo. Meglio accettare il proprio destino, quindi, così decisi di seguire i suoi ordini, e di sedermi a fianco a lei.
    « Sei da sola? » le chiesi, cercando di non toccarla. Il mio istinto mi diceva di passarle un braccio sotto le ascelle, sollevarla, e portarla su una panchina, o comunque un posto più pulito. Forse lei non si sarebbe lamentata, ma probabilmente chiunque fosse con lei in quel pub sì, e non volevo certo essere arrestato per un reato che non avrei mai e poi mai commesso.
    « Che cosa ti è successo? » le chiesi, prima di rispondere alla sua domanda. Aveva bevuto, questo era chiaro, ma non era questo che la rendeva triste e felice fino a quel punto. E sapevo, anzi, ero convinto che sfogarsi con uno sconosciuto qualsiasi aiutava sempre un po'. Più che ubriacarsi da soli, almeno.


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    Non riuscivo davvero a capire cosa ci fosse nella mia testa che non andava: c'erano davvero migliaia di ragazzi a Parigi, e molti di loro erano anche decisamente più attraenti di Philippe; e allora perché non iniziavo ad uscire con uno di loro? Perché mi ostinavo ad andare dietro ad un cretino di prima categoria che mi aveva trattata peggio di una pezza da piedi ed era addirittura arrivato a mettermi le mani addosso, e molto più di una vota? Cos'aveva di così bello e speciale per riuscire a farmi perdere la testa in quel modo? Ecco, non lo sapevo neanche io ad essere sincera, lo guardavo e pensavo che era disgustoso, ma allo stesso tempo mi rendevo conto di amarlo come si possono amare poche cose nella vita; era come se si fosse preso una parte di me, una grande parte di me, e l'avesse cucita alla sua ombra, così da farmelo rincorrere per l'eternità. Sì, mi rendevo conto anch'io che quelli erano pensieri sconnessi ed insensati, ma dopo tutto quello che avevo bevuto, non pretendevo certo di riuscire ad avere pensieri veramente decenti; anzi, mi meravigliavo anche di poter pensare qualcosa che, in fondo in fondo un senso ce l'aveva. Era difficile pensare a qualcosa di sensato in quelle condizioni, o in generale quando pensavo a Philippe, quindi seguitavo a sentirmi forte, anche se forte avevo dimostrato di non esserlo per niente, da un anno a quella parte.
    Una persona forte riesce a reagire, a fare quello che desidera e, soprattutto, non si dispera come sto facendo io; sapevo di non essere forte, ed ero perfettamente consapevole del fatto che la mia debolezza fosse nata dal rapporto malato con Philippe. Certo, sicuramente anche prima non ero una cima in forza, dato che non ero riuscita a liberarmi da Philippe, e l'avevo fatto perché non volevo davvero lasciarlo, però da quando lui mi aveva lasciata in quel modo ero diventata ancora più debole, e non sarebbe passato molto prima che iniziassi a farmi veramente schifo, e probabilmente c'ero già molto vicina.
    Guardai il ragazzo che nel frattempo si era fermato poco distante da me e notai che mi guardava con lo sguardo che mi sarei aspettata da chiunque mi avrebbe trovata in quelle condizioni; ma scorgevo anche qualcos'altro nei suoi occhi: sembrava triste, ed anche un po' in pena per me. Be', probabilmente era solo un'impressione nata dall'alcol, quindi non me ne preoccupai più di tanto: era un uomo d'altra parte, non mi aspettavo per niente al mondo che provasse pensa per me anzi, secondo i miei "nuovi" ideali, provava semplice disgusto per me e magari il malsano desiderio di violentarmi dato che non sarei stata in grado di difendermi in alzun modo: sentivo la testa pesante e sapevo che, non appena mi fossi sdraiata sarei caduta in un sono abbastanza profondo, praticamente come se fossi svenuta. Speravo che quel ragazzo non fosse il tipo, con tutto quello che mi passava per la testa anche scoprire di essere violentata mentre ero priva di coscienza mi avrebbe davvero distrutta, e stavolta definitivamente. Il ragazzo si sedette accanto a me ma ero praticamente sicura che non avesse risposto alla mia domanda: in realtà non ricordavo neanche cosa gli avessi chiesto, quindi non mi preoccupavo più di tanto della sua risposta, non per il momento almeno; oh, è inutile che cerco di autoconvincermi, sono ubriaca persa e sono perfettamente a conoscenza del fatto che domani non avrò il benché minimo ricordo di qualsiasi cosa sia successa o succederà stasera. «Al pub ci sono i miei amici.» Risposi al ragazzo bevendo un altro sorso di birra: non avevo risposto dirattamente alla sua domanda, per il semplice fatto che non avrei saputo dirlo con certezza; ero da sola? Be', lì fuori ero da sola, ma all'interno del locale c'erano davvero i miei amici. Ero da sola? Non sapevo dirlo con certezza. «Mi sono innamorata.» Mi limitai a rispondere al ragazzo «Non ho speranze.» Aggiunsi poi, alludendo al mio amore: nonostante fossi ubriaca persa, tutte le cose che sapevo da sobria le sapevo anche il quel momento, anzi se possibile mi era tutto ancora più chiaro: era vero, non avevo la bneché minima speranza di poter tornare con Philippe, eppure non riuscivo a smettere di sperarci. Presi un altro sorso prima di rivolgermi al mio ragazzo, sperando che rispondesse alla mia domanda data la consapevolezza, insita nel mio inconsico, che non l'avrei ricordata neanche mezzo minuto dopo «Tu ti sei mai innamorato?» Gli chiesi guardandolo negli occhi: aveva due meravigliosi occhi azzurri, sembravano dolci e sinceri: avevo voglia di baciarlo. Grazie mille alcol.

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    Le ragazze tristi sono sempre belle. Non so per quale misterioso motivo, ma non ho mai visto una ragazza triste brutta. Non dico che solo le ragazze belle possano essere tristi, ma semplicemente che quando sono tristi tutte le ragazze sono belle. Ma forse è facile fraintendere l'aggettivo "belle". Non sono solo belle, o meglio, non sono belle nel modo canonico in cui ci si immagina una ragazza bella. Hanno addosso un alone di mistero e di fragilità. Il loro volto è vulnerabile, ogni muscolo si contrae per esprimere ogni singola sfumatura dei loro pensieri.
    Certo, anche i maschi possono essere tristi, ma non è mai la stessa cosa. Gli uomini non sono tanto coraggiosi. Hanno paura di farsi vedere vulnerabili, hanno paura di mostrarsi, hanno paura di rivelare tutto il loro essere. Si trattengono. Fingono. Si nascondono dietro sorrisi spavaldi e risate forzate. Non hanno la forza interiore necessaria a fare quello che questa ragazza sta facendo: disperarsi. Essere così disperata da non curarsi del proprio aspetto, delle proprie parole, della propria privacy. Tanto da raccontare al più perfetto sconosciuto la storia della propria vita, incurante delle possibili conseguenze.
    L'amore. Certo. C'era qualcos'altro che potesse far ridere e piangere una persona allo stesso tempo? Qualcosa che ti facesse solo venire voglia di dimenticare tutto, ma senza riuscire a fare a meno di ricordare, anche in modo assolutamente ossessivo?
    Non c'erano commenti da fare. Non la conoscevo, ed era sicuramente poco in sè, ma mi dovevo affidare a quello che mi diceva. Era la più assoluta verità. Lei era innamorata, e non c'era speranza. Nessuna. Sarebbe stato assurdo cercare di convincerla del contrario. Probabilmente le avrei fatto più male che bene, quindi tanto valeva evitare di commentare, e rispondere alla sua domanda.
    « Sì, mi sono innamorato. Quindicimila volte, quindi probabilmente nessuna. » le dissi, sorridendo. Era molto bella, e i suoi occhi erano ancora più chiari, così lucidati dalle lacrime. Le spostai una ciocca di capelli dal viso, cercando di incastrarla tra le altre, ma senza successo.
    « La verità è che mi innamoro un po' di ogni ragazza che incontro. » continuai, mentre le tiravo via l'elastico messo in malo modo, per raccoglierle meglio i capelli. Non ero un grande parrucchiere, ma avevo accumulato abbastanza esperienza quando Cecile era piccola da riuscire ad evitarle capelli in faccia. Mi fermai a contemplare ammirato la mia opera d'arte. Ora la ragazza sembrava ancora più spaesata, con i suoi occhi spalancati e la sua fronte imperlata di sudore, ma, se possibile, ancora più bella.
    « Guardati... Chi ti ha ridotta così? » chiesi tra me e me, ma forse a voce troppo alta perchè non mi sentisse.


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    Mi avvicinai, a metà tra il consapevole e l'ignaro, al ragazzo: avevo un disperato bisogno di un contatto umano, e me ne rendevo conto solo in quel momento. Non volevo che fosse mia sorella a starmi vicino, né i miei amici: volevo che fosse qualcuno che non conoscevo, qualcuno a cui avrei potuto raccontare tutto quello che mi passava per la testa senza rischiare di essere ammonita con il solito "te l'avevo detto" o peggio essere sgridata per le condizioni in cui mi ritrovavo, ed ero sicura che sia mia sorella che i mieii amici avrebbero fatto entrambe le cose; non era quello di cui avevo bisogno e, nonostante le mie condizioni, lo sapevo. Sapevo di avere bisogno di qualcuno che mi ascoltasse, che cercasse di consolarmi e che mi dicesse che sì, ero una stupida, ma non perché ero completamente ubriaca ma solo perché avrei dovuto smetterla di famri tanto male per colpa di quello lì. Non sapevo perché, ma quel ragazzo mi sembrava in grado di fare ognuna di queste cose, e forse anche di più; mi sembrava il tipico ragazzo che ti sa ascoltare e consolare e che non cercherà di portarti a letto in ogni modo possibile, e mi piaceva. Mi sentivo fortunata ad aver incontrato proprio lui (anche se in realtà era lui ad aver incontrato me, e non so quanto potesse sentirsi fortunato) piuttosto che un bruto che avrebbe solo approfittato di me lasciandomi chissà dove, nuda ed indifesa. Sentivo che lui non l'avrebbe mai fatto ed ebbi per l'enessima volta voglia di baciarlo o abbracciarlo o fare qualsiasi altra cosa: non essendo proprio abituata ad essere ubriaca, non sapevo che effetto mi facesse troppo alcol ma, ora che lo sapevo, decisi che la prossima volta ci avrei pensato su più di due volte prima di ubriacarmi di nuovo: insomma, non volevo rischiare di baciare qualcuno senza rendermene conto ed in quel momento stavo rischiando già parecchio. Probabilmente il mio sarebbe stato un gesto ignorato, date le mie condizioni, ma non volevo comunque passare per maniaca: ero una ragazza normale, non una di quelle che cercano di baciare quante più persone possibile per sentirsi importanti, la trovavo una cosa squallida e mi sarei sentita squallida anch'io se avessi fatto una cosa del genere.
    La domanda che avevo posto al ragazzo stava lentamente svanendo dalla mia mente e la cosa non mi entusiasmava: detestavo non ricordarmi le cose che dicevo o quelle che chiedevo e, pensandoci bene, quella era la prima volta che mi capitava. E grazie al cavolo, ero a pezzi! Era normale che mi succedessero cose strane, anche se la cosa continuava a non piacermi comunque; mi stavo lentamente trasformndo, anche se fortunatamente non mi stavano ancora crescendo i peli sulle braccia e le zanne, quindi non ero una licantropa. Presi un altro sorso di birra cercando di togliermi i capelli dalla faccia e cercando anche di ascoltare il ragazzo, prima di scordarmi le sue parole e non rispondergli affatto: non volevo che se ne andasse, avevo l'insensato desiderio che stesse lì con me. Un dubbio atroce mi attraversò la mente: e se non fosse stato reale? E se in realtà lui fosse stato un miraggio nato dall'alcol? Questa possibilità chiariva molte cose, tra le quali il fatto che sentissi il bisogno di sentirlo vicino: probabilmente era frutto della mia immaginazione, era una proiezione che la mia mente stava creando per farmi sentire tranquilla; già probabilmente era così, ma decisi di continuare ad ingannarmi, sperando di stare meglio. «Wow.» Gli dissi: non avevo capito perché avesse detto prima quindicimila e poi nessuna, ma quindicimila era un bel numero, quindi non mi preoccupai più di tanto. «Non è bello, innamorarsi.» Gli dissi scuotendo la testa: per me era così, mi ero innamorata una sola volta ed era stata la cosa peggiore che potessi fare in vita mia; avevo voglia di non innamorarmi più, di perdere la capacità di provare amore per qualcuno, mi faceva sentire troppo debole amare qualcuno. Notai che avvicinava una mano al mio viso e non feci niente per fermarlo: perché avrei dovuto d'altra parte, era una parte di me, non mi avrebbe fatto niente. Sentii che una ciocca di capelli si spostava dal mio volto ma, essendo stata toccata da qualcosa che non esisteva, pensai che fosse stato il vento, nonostante non ne tirasse neanche un alito. «Cariiiino!» Esclamai poi alla sua affermazione: era dolce, o meglio ero dolce dato che qel ragazzo era solo frutto della mia immaginazione, ed ormai ne ero pienamente convinta. «E loro si innamorano di te?» Gli chiesi ingenuamente: non pensai minimamente che la frase fosse assurda, mi sembrava avesse un filo logico ma era impossibile che ogni singola ragazza che il mio fantasma avesse incontrato si fosse innamorata di lui; era anche un bel fantasma ad essere onesti, però era impossibile, anche se in quel momento non mi sembrava.
    La convinzione che stessi parlando con un fantasma svanì nell'esatto momento in cui sentii l'elastico che mi veniva tolto: quel ragazzo non era frutto della mia immaginazione, era una persona in carne ed ossa che cercava di non farmi sporcare i capelli più di quanto già non fossero. Mi vergognai da fare schifo quando realizzai in che modo avevo parlato poco prima: Cristo, ero così ferma nella mia convinzione di parlare con un miraggio che non mi preoccupai minimamente di essere seria; volevo chiedergli scusa, ma mi resi conto che, ubriaca com'ero, non sarebbe rimasto sconvolto da qualsiasi cosa avrei potuto fare. Poi l'istinto prese il sopravvento: senza pensarci due volte gli accarezzai la mano prima che lui la riportasse al suo posto: avevo bisogno di sentire che era vero e, non appena sentii che stavo davvero toccando qualcosa, ritrassi la mano di scatto, per paura di essere fraintesa. Alla fine non avrebbe frainteso niente, l'alcol mi portava a desiderare di essere in qualsiasi altro posto, insieme a lui. Sorrisi in maniera triste alla sua domanda «L'unica persona di cui mi sono innamorata.» Gli risposi sentendo le lacrime che riprendevano a sgorgare copiose sulle mie guance «Non voglio innamorarmi più.» Gli dissi fissandolo negli occhi prima di riprendere a piangere come una bambina: non piangevo mai davanti a nessuno, ma quella sera avevo la scusa dell'alcol e decisi, per la seconda ed ultima volta, di mostrare tutto il dolore che avevo dentro.

    «Almeno tu, nell'universo.»
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    Alex De Espinoza
    La ragazza era indubbiamente ubriaca, anzi, molto ubriaca. A dirla tutta troppo, troppo ubriaca per capire cosa le succedeva intorno, e probabilmente per seguire il filo logico del discorso. Ma qualcosa di quello che riusciva a biascicare arrivava ad avere un senso compiuto. O meglio, sembrava che per quanto si sforzasse di non farsi capire affatto, come se non stesse parlando con qualcuno, ma con se stessa, qualcosa riuscivo a capirla, nonostante non avesse sempre troppo senso collegato con il reso. Non capii a cosa si riferiva quando commentò le mie parole dicendo "cariiiino". Ero io? Mi trovava carino? Divertente, forse, buffo! Era probabile, in effetti. Sorrisi, era strano che qualcuno trovasse quella mia caratteristica "carina". Di solito venivo preso più per un pazzo furioso, o uno stalker, a scelta.
    « No, non si innamorano di me. Nessuna, credo, si è mai innamorata di me. Tanto meno solo incontrandomi per strada.. ». Era la verità, almeno credo. Per quanto ne sapessi io lo era. E probabilmente non c'era neanche da chiederselo. Certo, la mia collezione di cuoricini di San Valentino e bigliettini "vuoi metterti con me?" l'avevo avuta. D'altronde ero stato un bel bambino, e poi un bel ragazzino, ma già quando le ragazzine sono abbastanza sveglie da vedere che sì, certo, hai dei begli occhioni azzurri, ma hai pure le scarpe bucate e solo tre magliette in tutto, che metti tutti i giorni della settimana, spesso sporche, e che abiti in una catapecchia fuori Parigi, dove ti vergogni a farti riportare a casa, allora non sono più tante quelle che ti corrono dietro. Qualcuna ce n'è, ma più per far arrabbiare i genitori, che perchè le sembri interessante.
    La ragazza che avevo davanti, al momento, sembrava tutto fuorchè interessata alla condizioni delle mie scarpe, anzi, mi resi conto troppo tardi di aver toccato un tasto più che dolente, quando ricominciò a piangere a dirotto, parlando dell'unica persona che avesse mai amato. Persona che, a giudicare dalle conseguenze, doveva averle fatto davvero molto male, tanto da ridurla a quello straccio che avevo davanti, ubriaca, disperata, e abbastanza disinibita da parlare del proprio amore con un perfetto sconosciuto. Appena vidi le lacrime scendere nuovamente sul suo volto non riuscii a reagire in altro modo che passandole un braccio dietro le spalle, cingendola in un gesto vagamente protettivo, e portando la sua testa sulla mia spalla, dove avrebbe potuto asciugarsi con la mia maglietta, se avesse voluto. Non mi interessava, che si sporcasse pure, di lacrime, di trucco, di sudore, birra, e vomito. Non era un grande sacrificio, in fondo, per rendere un po' meno miserabile quella emerita sconosciuta.
    Non riuscii a fare a meno di pensare che chiunque fosse questa persona dovesse essere molto vicina. Era difficile disperarsi così tanto per una persona lontana, ne ero sicuro, nonostante mi fossi innamorato solo di ragazze che ero sicuro non avrei mai più visto.
    « Non dire così, sono convinto che cambierai idea, un giorno.. » le dissi, mentre le mie dita facevano il possibile per accarezzare la sua testa, per quanto fosse sporca. « Questa persona... È qui vicino? » le chiesi. L'aveva incontrato? O incontrata, per quanto ne sapevo, non che cambiasse molto, in fondo. Il punto era portarla via da qualunque posto in cui avesse potuto stare così male al solo pensiero di vedere chi la faceva soffrire.


    « aspetterò domani per avere nostalgia »


    Pensi che il tipo, o la sorella, o chiunque, potrebbe vederli insieme e fare qualcosa? Tipo decidere che Alex è pericoloso e tentare di separarli, o ... boh, qualcosa!
     
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    La testa mi stava letteralmente scoppiando, avevo lo stomaco in subbuglio e l'unica cosa che volevo fare in quel momento era sdraiarmi su qualcosa di morbido e dormire per un'intera giornata, cercando di dimenticare quella serata orribile; non so chi dovessi ringraziare per aver fatto sì che quel ragazzo mi trovasse e si sedesse accanto a me, ero solo contenta che l'avesse fatto e volevo davvero rignraziarlo, in qualsiasi modo avessi potuto, ed in quelle codizioni i modi non erano poi molti. Volevo ringraziarlo prima di tutto perché non mi aveva ignorata, anche se forse sarebbe stato meglio per lui, e poi perché non stava approfittando della situazione e, a dirla tutta, non credevo l'avrebbe mai fatto; non so perché mi ispirasse tanta fiducia, forse perché aveva un faccino troppo tenero per poter essere cattivo o forse era per il fatto che il suo sorriso era quanto di più dolce avessi mai visto da non so qunto tempo a quella parte. Quando sorrise non riuscii a non sorridere a mia volta: da quanto tempo qualcuno non mi sorrideva? Non lo ricordavo neanche, ero talmente insopportabile che nessuno mi sorrideva perché non ero assolutamente in grado di essere gradevole, e rimpiangerò quella mia idiozia per il resto della mia vita, ne sono convinta. Nonostante la mia poca capacità di comprensione in quel momento, non mi stupii di quella affermazione: per quanto fosse carino, non era il tipo di ragazzo che piace a tutte, anzi, e non parlo del punto di vista fisico; nonostante la'avessi incontrato da neanche mezz'ora, avevo più o meno capito che tipo di persona era (anche se forse il tasso alcolico presente nel mio sangue non mi permetteva di giudicare al meglio) e no, non era proprio un tipo "piacione". Innanzitutto era troppo carino e tenero, mentre le ragazze amano tendenzialmente i tipi rudi, e poi sembrava troppo timido per essere popolare: a me sarebbe piaciuto da sobria, credo, principalmente perché, essendo l'esatto opposto di Philippe, mi ci sarei trovata sicuramente bene; non c'avrei messo la mano sul fuoco comunque, ero davvero troppo ubriaca per poter giurare qualsiasi cosa. Gli sorrisi in maniera triste «Ti meriteresti davvero di essere amato da tutte le persone di cui ti innamori tu.» Dissi tirando su con il naso: già non ricordavo più quello che avevo detto, ma ero quasi sicura che fosse un pensiero profondo, forse un po' troppo profondo che, magari, non aveva neanche un senso; non riuscivo a capire molto quello che dicevo, appena mi veniva in mente qualcosa la buttavo là senza pensarci troppo. Mi limitavo a sperare di non dire cavolate troppo grandi, ma non facevo veramente caso alle mie parole, dato fiato alle trombe e basta, tanto avevo la scusa dell'alcol, avrei potuto fingere di non ricordarmi niente, anche se non ci sarebbe stato bisogno di fingere più di tanto. Non appena mi abbracciò lasciai da una parte la bottiglia e lo strinsi più forte che potevo: avevo davvero bisogno di un abbraccio, ed era strano che me ne accorgessi solo in quel momento; ok, probabilmente già lo sapevo, ma alla fine era ridicolo chiedere a qualcuno di abbracciarti e, per quanto mia sorella mi volesse bene, non era tipo da fare questi gesti. Per questo motivo approfittai del momento per prendermi tutto quell'affetto o qualsiasi altra cosa fosse, in ogni caso mi faceva stare bene; chissà se il ragazzo si era innamorato anche di me. Non era da escludere visto che, mi pareva, aveva detto di innamorarsi molto facilmente, ma magari gli facevo davvero troppa pena per poter provare quel sentimento; aveva ragione alla fine, anch'io mi facevo pena e anche un po' schifo. Non ero molto convinta di quelle parole, perché non volevo più soffrire e cambiare come Philippe era riuscito a fare, ma mi dicevo che se avessi incontrato solo persone come questo ragazzo, avrei indubbiamente cambiato idea «Spero di trovare qualcuno in grado di farmi cambiare idea.» Gli dissi biascicando un po' per l'alcol un po' per il fatto che avevo la faccia schiacciata al suo petto; non riuscii a tenere gli occhi aperti non appena iniziò ad accarezzarmi i capelli: era un gesto così dolce che avrei voluto durasse per sempre, ma già sapevo che non sarebbe stato così, anche perché probabilmente io ed il mio momentaneo salvatore non ci saremmo più visti dopo quel momento. Annuii alla sua domanda «È dentro, insieme alla sua nuova ragazza.» Gli dissi trattenendo a stento un conato di vomito: era colpa dell'alcol sicuramente, ma anche di quelle parole. Ero completamente in pace con me stessa in quel momento, una pace che venne interrotta bruscamente dal rumore di passi che si avvicinavano a noi: scattai in piedi non appena sentii la prima. Era Philippe e l'unica cosa che volevo fare in quel momento era ammazzarlo. «Chi cazzo sei?!» Urlò in direzione del ragazzo che mi aveva fatto compagnia fino a quel momento «Lasciala in pace!» Aggiunse poi, avvicinandosi a me e prendendomi per un braccio nel tentativo di farmi allontanare: mi divincolai con una forza che neanche sapevo di avere e gli mollai un sonoro ceffone «Esci dalla mia vita.» Gli biascicai in faccia, traballando: mi guardò con quello sguardo cattivo che non aveva mai smesso di rivolgermi quando stavamo insieme, pronto a rendermi la botta; chiusi gli occhi convinta che Philippe si sarebbe vendicato.
    «Almeno tu, nell'universo.»
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